Un partigiano-bandito: il Gobbo del Quarticciolo

 

 

gobbo_sito_350pxUna figura eretica e tutta da scoprire all’interno di quello che per molto tempo è stato una sorta di pantheon resistenziale senza macchia, ma nemmeno senza le dovute distinzioni tra i vari protagonisti. Il nuovo libro della Milieu aiuta a colmare questa lacuna e a sollevare interessanti interrogativi, non solo sulle varie figure all’interno della Resistenza, ma anche per quelli che sono stati gli sviluppi delle periferie metropolitane dalla fine della guerra fino ai giorni nostri.

 

 

 

 

Nei racconti della mia infanzia, la resistenza a Roma era quella dei G.A.P., manipolo di uomini e donne che all’indomani della battaglia di porta San Paolo organizzarono in clandestinità azioni militari contro le forze di occupazione tedesche. Attacchi, sabotaggi, azioni eclatanti portate nel cuore della presenza militare teutonica nell’urbe: davanti al carcere di Regina Coeli, davanti al cinema Barberini, all’Hotel Floria, fino all’attacco alle SS in via Rasella.

La resistenza, per come mi è stata raccontata, è stata opera di compagni dalla disciplina ferrea, organizzati rigidamente in piccole cellule, in stretto contatto con il C.L.N. Il ruolo svolto dagli abitanti della città rimane sullo sfondo come sostegno, appoggio, solidarietà. Si “limita” alla complicità con i combattenti comunisti e al rifiuto della collaborazione con le truppe occupanti.

Roma, è stata raccontata come l’unica città in cui non ci fu una partecipazione popolare di massa alla lotta di liberazione paragonabile ai grandi scioperi contro la guerra dei centri industriali del nord Italia, unica grande città liberata da un esercito straniero senza un’insurrezione popolare a sostenerla.

La storia di Giuseppe Albano, detto il Gobbo, immigrato da Riace al Quarticciolo, precocemente adulto a 17 anni, sfata questo racconto d’infanzia. Infatti, emerge nel racconto della sua vicenda il ribellismo delle borgate, l’ostilità attiva che si concretizzerà in centinaia di sabotaggi, attacchi alle truppe, requisizioni e redistribuzione dei viveri, azioni di propaganda fino alla liberazione di Centocelle tre mesi prima del 4 giugno.

Al Quadraro, a Pietralata, a Torpignattara, a Centocelle gli acquedotti romani e le grotte diventano sentieri e nascondigli, i ciuffi di case costruiti in mezzo all’agro romano dieci anni prima per deportare sovversivi e abitanti del centro storico, cacciati per fare spazio alle vie delle parate mussoliniane, diventano nascondigli sicuri per i partigiani e “nidi di vespe” per l’occupante, le consolari che collegano Roma con il fronte di Anzio e Cassino sono costantemente attaccate da bande di irregolari.

Questa storia altra della resistenza romana è scritta da uomini comuni, lavoratori e banditi, studenti e contadini. Non è il militante di partito con la sua abnegazione alla causa l’unico attore di questa vicenda, esso agisce accanto a decine di altri partigiani, i G.A.P. si coordinano con altri gruppi più forti e più cospicui, su tutti Bandiera rossa, che non riconoscono il comitato di liberazione nazionale, che agiscono di propria iniziativa spontanea.

Il “Gobbo”, di questi altri, rappresenta il simbolo nel bene e nel male, la figura più nota e carismatica. Coraggioso e indisciplinato. Figura di cui è impossibile una descrizione non contraddittoria. Coscienza sporca di una guerra di liberazione che male si adattava al “secondo risorgimento” con cui il P.C.I. decise di inquadrarla. Poco senso dello stato e molto interesse di classe. Proprio per questa sua incompatibilità sarà calunniato dopo il 4 giugno oltre le sue effettive colpe.

La storia del gobbo mette in luce alcuni temi che saranno costanti nella storia del movimento rivoluzionario romano nei decenni successivi: il ruolo del banditismo sociale, il contesto delle borgate, la resistenza che non finisce il 4 giugno ma continua con decine di militanti che conservano le armi nonostante le direttive del partito.

Le borgate, in particolare, sono la vera specificità che rende unico il contesto capitolino. Costruite negli anni 30 per inseguire il mito di una capitale senza ceti sovversivi, in cui la povertà potesse essere espulsa dalla città. Sarà qua che per decenni cresceranno e si radicheranno i movimenti sociali e le avanguardie rivoluzionarie. In una città in cui lo sviluppo industriale non raggiungerà mai la proporzione delle metropoli del nord del paese sarà la borgata a rappresentare l’ambiente in cui si costruisce l’identità di classe del proletariato romano.

Se a Torino il movimento rivoluzionario si identifica con l’operaio di Mirafiori, a Milano con l’operaio di Sesto San Giovanni, a Genova con i portuali, a Roma saranno i borgatari impegnati nelle lotte per la casa, contro il caro vita e contro la disoccupazione il motore della lotta di classe.

È qua che le illusioni della liberazione dai nazifascisti si infrangono nel perdurare di condizioni di vita durissime per i proletari, è qua a Roma che la fine della resistenza viene vissuto come un tradimento.

La borgata rappresenta un territorio di confine né campagna né città, nelle cartine di Roma per decenni non verranno rappresentate, ai suoi abitanti verrà negata la residenza e questa condizione di indeterminazione di sospensione tra due dimensioni opposte è comune anche al protagonista di questo bel libro. Come se il Quarticciolo gli avesse impresso questa indeterminazione, Giuseppe Albano è perennemente sospeso tra il bandito privo di scrupoli e l’eroe popolare, partigiano ricercato numero uno dai tedeschi e strumento della reazione monarchica in chiave anticomunista.

Il merito di questo libro è quello di non sottrarsi all’analisi puntuale delle vicende umane di questo adolescente, il cui ricordo per troppo tempo è stato condizionato dal clima politico del dopoguerra italiano tra criminalizzazione della resistenza e revisionismo storico. Gli autori ricostruiscono la storia del Gobbo, evidenziano le incoerenze nelle ricostruzioni finora proposte sulla sua vita e soprattutto sulla sua morte nella certezza che

…Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono.” 

2 pensieri su “Un partigiano-bandito: il Gobbo del Quarticciolo

    • A dire il vero, questa recensione è grossomodo la trascrizione dell’intervento introduttivo alla presentazione del libro lo scorso 21 aprile allo spazio occupato “3 serrande” nell’Università, fatto dai compagni di Degage e quindi frutto di un confronto tra più persone. Un saluto

Lascia un commento