Immersi nella precarietà dei nostri tempi, la ricerca di un paragone con quella che fu molto più di una semplice generazione salita alla ribalta, genera suggestioni, speranze e rimpianti per quello che era allora, ma non adesso.
Fu Jack Kerouac, autore di On the Road, a coniare per primo il termine Beat Generation. Il Beat è l’abbattuto, lo sconfitto, l’uomo schiacciato dal suo tempo. Quale altro nome avrebbe potuto definire meglio la generazione di giovani subalterni dell’America del dopoguerra? Ma la parola ‘’beat’’ non indica solo la condizione di subalternità dei giovani del tempo ma anche uno stato di beatitudine, un’attitudine positiva nei confronti del mondo, in qualche modo l’entusiasmo e l’energia, la voglia di farsi ascoltare. La Beat Generation trovò insomma a suo modo le parole e le narrazioni giuste per esprimere la situazione politica e sociale dell’America degli anni ‘50, ma anche la necessità collettiva ed individuale di riscatto, il rifiuto di ogni conformismo.
‘’…everything is going to the beat – It’s the beat generation, its béat, it’s the beat to keep, it’s the beat of the heart, it’s being beat and down in the world’’ (Jack Kerouac, Desolation Angels’’)
La precarietà trova spazio e si esprime attraverso l’arte, la letteratura, abitudini di vita fuori dal comune. I Beat fuoriescono dal selciato, invadono spazi mai percorsi, creano sentieri, guidati da rabbia e allo stesso tempo da entusiasmo. Se da una parte infatti questi sono gli abbattuti, gli uomini schiacciati dalla vita, d’altra parte essi sono gli inventori di un modo di essere alternativo, di un nuovo paradigma. Le narrazioni dei Beat sono l’espressione di un’esigenza e un malcontento sociale comuni, sono narrazioni nelle quali non è difficile immedesimarsi. Continua a leggere